Ranieri

 TORINO – La prossima volta potrebbe essere la prima: la prima in cui i calciatori decidono di fermarsi se qualcuno, dalle gradinate, comincia a ululare cori razzisti. Lo dice, anzi lo promette Claudio Ranieri, l’allenatore della Juventus. La sua squadra è stata protagonista – suo malgrado – degli insulti a Balotelli, italiano e nero di pelle. E dovrà giocare senza pubblico contro il Lecce, il 3 maggio.

Ranieri, cosa farà al prossimo coro razzista?
“Chiamerò Del Piero, il nostro capitano. E poi il capitano della squadra avversaria. E poi il quarto uomo”.

Anche l’arbitro?
“Anche l’arbitro, naturalmente. Ci parleremo, e prenderemo l’unica decisione possibile: fermarci. Anzi, prima faremo un altro tentativo”.

Quale?
“Ci sposteremo verso il settore da dove arrivano i cori e gli insulti, andremo sotto la curva o sotto la tribuna, e faremo capire ai tifosi con i gesti e con le parole che sarebbe meglio smetterla”.

E se non capiranno? Se non vorranno capire?
“Allora basta, stop. Torneremo negli spogliatoi. Perché è il momento di farlo, senza aspettare più. Qui è saltato tutto, il rispetto del prossimo in primo luogo, e poi l’educazione. Un problema nazionale, sociale, non solo calcistico”.

Del Piero la ascolterà? I suoi compagni e i suoi colleghi avranno il coraggio di portare via il pallone?
“Dovranno averlo, anche a rischio di impopolarità. Questo è un frangente gravissimo, che richiede a tutti di andare oltre l’egoismo”.

Crede che i tifosi lo accetteranno?
“Non è questo il punto: devono capire e basta”. OAS_RICH(‘Middle’);
Pensa che le curve juventine protesteranno contro la partita a porte chiuse, magari cominciando già stasera in Coppa Italia?
“Mi auguro di no, mi affido al loro senso di responsabilità. Non devono sentirsi vittime, non è certo la Juventus ad essere sotto processo per razzismo: è un problema più vasto, europeo”.

Basterà fermarsi?
“Bisogna farlo, però è una battaglia che il calcio non può vincere da solo. Serve l’aiuto della legge e la certezza della pena, come in Inghilterra”.

Scusi, Ranieri, ma perché non avete fatto qualcosa già sabato sera?
“So che può sembrare incredibile, però io dalla panchina non mi sono accorto di niente: lo giuro. Sentivo il boato fortissimo e continuo, senza però distinguere le parole. A bordo campo, quasi sempre sei concentrato su altro, pensi alla partita, segui il gioco. Vale per l’allenatore, ma anche per i calciatori”.

Eppure i cori razzisti contro Balotelli si sono ripetuti dieci volte.
“In certi momenti non riuscivo a distinguere neppure il fischio dell’arbitro. Mi hanno detto che si è pure alzato un coro a favore di Antonio Conte, dunque contro di me: ebbene, non ho sentito neanche quello”.

Nessun alibi del provocatore, ma certo che quel Balotelli…
“Glielo dico da allenatore con i capelli bianchi, non da juventino: si dia una calmata. Lui ha tutto per essere un grande, però eviti certi atteggiamenti che possono indisporre l’avversario e il pubblico. Resta il fatto che quello che è successo al ragazzo mi dispiace moltissimo”.

Giusta la punizione per la Juventus?
“No, perché era la prima volta. Ogni settimana, a Torino giocano atleti di colore e nessuno ha mai mancato loro di rispetto. Per certe pene serve la reiterazione, quindi mi sembra più che legittimo il nostro ricorso”.

Possibile che i giocatori italiani siano sempre così indifferenti di fronte al razzismo?
“Non è indifferenza: per loro, il colore della pelle è uguale per tutti, e così si rispettano”.

Lei ha allenato inglesi e spagnoli: all’estero è diverso?
“In Spagna ho visto solo civiltà. In Inghilterra hanno inventato gli hooligans, ma li hanno anche sconfitti. Ricordo una partita del Blackburn, ero lì. Si stava scaldando Yorke, attaccante di colore. A un certo punto, due tifosi della sua squadra scendono verso il campo e cominciano a insultarlo: dopo qualche istante gli steward li portano via e li mettono in cella, dentro lo stadio. Il giorno dopo, processo per direttissima e condanna a 5 anni lontano da qualunque stadio. Se accadesse anche in Italia, i violenti ci penserebbero bene prima di fare o dire certe cose”.

Oggi manca una norma federale per interrompere le gare in caso di cori a sfondo razziale.
“Le leggi si cambiano, oppure si scrivono”.

Secondo lei, il nostro è un paese razzista?
“Un po’ sì. Siamo pieni di contraddizioni, abbiamo tantissimi stranieri eppure a volte il razzismo c’è, non solo allo stadio, anche per strada o sugli autobus”.