Argentina '78

 ROMA – Argentina, 25 giugno 1978: a Buenos Aires, così come in altre città, un fiume di persone si riversa nelle strade, per festeggiare la vittoria della squadra di casa ai Mondiali di calcio. Ma poco lontano dallo stadio, nel mare di urla gioiose e bandiere sventolate, c’è qualcosa di diverso: all’interno di un’auto scura e senza insegne, un uomo e una donna, seduti sul sedile posteriore, sono l’immagine stessa della sofferenza, della rabbia, del dolore. Coi loro volti rigati di lacrime, reduci da giorni a base di torture e violenze d’ogni genere, rappresentano l’altro volto del Paese. Quello dei diritti civili violati, delle sparizioni di massa, delle esecuzioni sommarie. L’inferno in terra della dittatura.

La scena appena descritta è tratta da Complici del silenzio, il film di Stefano Incerti, con Alessio Boni protagonista, dedicato a quel tragico momento della storia argentina. Una sequenza che riassume bene l’intento del regista: mostrare il contrasto tra le scene trionfalistiche legate ai Mondiali – usati dal tiranno Videla e dalla sua giunta per accreditare un’immagine positiva e vincente del Paese – e il sangue che anche in quelle settimane continuò a scorrere. Il bilancio finale è tristemente noto: in pochi anni i dasaparecidos furono circa 30 mila. Tra loro, anche nostri connazionali, come dimostra la recente sentenza italiana con cui sono stati condannati all’argastolo cinque ex membri della giunta militare di Buenos Aires.

Complici del silenzio però non è e non vuole essere solo una generica denuncia di quei tragici fatti. Attraverso una storia a base di romanticismo e suspence, indaga dall’interno cosa vuol dire davvero finire, senza alcuna colpa, in quella spirale di violenza cieca. Per farlo, si concentra sul protagonista, Maurizio Gallo (Alessio Boni), giornalista sportivo italiano che sbarca in Argentina per seguire i Mondiali, insieme all’amico e fotoreporter Ugo (Giuseppe Battiston).

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Lo sguardo di Maurizio, all’inizio, è totalmente esterno, distaccato, ignaro. Malgrado i suoi legami col paese sudamericano: appena sbarcato, va a trovare gli zii emigrati che hanno raggiunto una buona posizione sociale. Anche perché sua cugina ha sposato Pablo (Juan Layrado), uomo forte e misterioso del ministero dell’Interno. Ma la sua ignoranza dura poco: entra subito in contatto con la bella Ana (Florencia Raggi), moglie separata di un suo amico italiano, a cui deve consegnare dei soldi. Tra i due scoppia la passione, ma lei fugge da lui: è una militante della Resistenza, e non può permettersi un legame affettivo.

Maurizio però non si rassegna, e proprio mentre suo cugino Carlos scompare (l’unica sua colpa è aver partecipato al funerale di un suo insegnante di università uccciso), riesce a ritrovare Ana. Da qui comincia il suo calvario, a base di botte, torture, violenze d’ogni tipo. Proprio mentre i suoi zii, che fino a quel momento avevano voltato la testa dall’altra parte, si rendono conto di cosa sta accadendo nel paese dove vivono da anni…

“Credo che il film – spiega Incerti, già autore di film legati alla storia recente come L’uomo di vetro – sia un’occasione preziosa per raccontare un periodo triste, che non può essere dimenticato; una tragedia che ha tutte le caratteristiche di un genocidio, e che coinvolse molti nostri connazionali”. Concentrandosi soprattutto su “quello strano cortocircuito avvenuto nel 1978 quando la gioia per un evento sportivo si manifestava in contemporanea al dolore delle sevizie e delle torture che la giunta militare infliggeva agli oppositori, anche a un chilometro dallo stadio in cui si disputava la finale del Mondiale”. Il tutto con una tensione emotiva che, secondo il regista, è anche un omaggio alla grande tradizione civile di Francesco Rosi. E con l’intenzione di fare anche da “monito ai governi occidentali, perché non ci vuole tanto a finire così: basta ridurre al silenzio l’opposizione, aggiustare un po’ di sentenze”.

Quanto ad Alessio Boni, spiega di non essersi preparato per il ruolo su documenti storici, in modo “da arrivare vergine al personaggio”, per poi “lasciarsi trascinare dall’entusiasmo delle persone e dalla memoria dei luoghi” del paese sudamericano.