In un film la morte di Siani Così Napoli è diventata Gomorra
NAPOLI – “Ieri sera al san Carlo c’era la bellezza di Napoli, perché l’etica libera la bellezza”. Un emozionato Paolo Siani ha commentato così l’applauso composto ma infinito del pubblico che ha accolto l’anteprima del film sulla morte del fratello Giancarlo, ucciso a 26 anni dalla camorra. In sala, oltre al cast, anche i parenti delle vittime della criminalità: il marito di Silvia Ruotolo (la giovane mamma uccisa per sbaglio mentre rientrava a casa con il figlio), il padre di Paolino Avella (ucciso a 17 anni da chi voleva rubargli il motorino) moglie e figlia di Marcello Torre, integerrimo sindaco di Pagani assassinato nel 1980. Alcuni di loro, tra cui lo stesso Paolo Siani, hanno accettato di comparire nel film, simbolo della faccia pulita di Napoli. E poi i magistrati Giandomenico Lepore, Franco Roberti e Armando D’Alterio, colui che alla fine risolse il caso.

Andrea Purgatori, che ha scritto il film con Risi e Jim Carrington, lo ha definito “una sorta di prequel di Gomorra“. Ma Fortapàsc sembra avvicinarsi, per la cifra più personale e poetica, per la capacità di ricostruzione di un periodo storico, più a I cento passi di Marco Tullio Giordana, sull’omicidio di un altro giovane idealista, Peppino Impastato. Marco Risi chiarisce in conferenza stampa: “Per sgombrare il campo da ogni analogia, questo film nasce sei, sette anni fa, quando di Gomorra non esistevano libro e film. Quello di Garrone, film che ho amato, è un durissimo reportage di guerra, segmentato, corale. Il nostro ha, invece, un andamento classico, e noi lo raccontiamo soprattutto attraverso il nostro protagonista”.

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Fortapàsc si apre con la voce narrante di Giancarlo Siani pochi minuti prima di essere ucciso, la sera del 23 settembre del 1985. E’ sulla sua Citroen Mehari pistacchio, corre lungo la costa, verso casa per una doccia e poi dalla sua fidanzata. La radio trasmette Ogni volta di Vasco Rossi, “non so, se avessi saputo che di lì a poco sarei morto, se avrei ascoltato proprio quella canzone” dice Siani, voce fuori campo. A quel sorriso è affidato il raggio di speranza che vuole mantenere il film, in una vicenda tanto tragica.

Si raccontano gli ultimi quattro mesi prima di quella sera. Il lavoro quotidiano di Giancarlo, praticante abusivo a Torre Annunziata, per Il Mattino. Le indagini su quella realtà, regno delle famiglie camorristiche in lotta, gli intrecci e gli interessi sulla pioggia di miliardi per la ricostruzione del dopo terremoto dell’80.

La sentenza di morte per Giancarlo arriva il giorno dopo la pubblicazione di un suo articolo su Il Mattino del 10 giugno 1985 sull’arresto del boss Valentino Gionta. Si rivela che è avvenuto grazie a una soffiata. E’ stato l’alleato Nuvoletta, referente in Campania di Totò Riina. Quest’ultimo ha chiesto di eliminare Gionta e Nuvoletta, per non tradire l’onore di mafioso uccidendo un alleato, lo fa arrestare.

“Ci sono voluti 10 anni e tre pentiti per assicurare alla giustizia e responsabili del delitto, attualmente ancora in carcere”, dice Risi. Fortapàsc è costato 5 milioni di euro, prodotto dalla BiBi di Angelo Barbagallo, Raicinema e Minerva. Esce nelle sale a Napoli il 20 marzo, il 27 nel resto d’Italia. “E’ un film onesto e poetico, descrive mio fratello proprio così com’era – dice Paolo Siani – un ragazzo pieno di vita, un giornalista-giornalista, come si racconta nel film. Credo che Marco Risi abbia fatto il più bello dei risarcimenti a Giancarlo e sono sicuro che lui l’avrebbe amato”.

Siani è stato l’unico giornalista ucciso dalla camorra. “Una delle intenzioni polemiche del film – dice Risi – è proprio il rapporto dei giornalisti con la realtà, nella scena sulla spiaggia il caporedattore Sasà spiega a Giancarlo la differenza tra i giornalisti-giornalisti e i giornalisti-impiegati. Ma è un discorso che si può applicare a ogni categoria”. Purgatori, l’uomo delle inchieste su Ustica che lo stesso Risi raccontò in Il muro di gomma, sottolinea invece “il valore dei giornalisti precari, che oggi sono 40 mila e sono spesso gli unici a portare le notizie, lontani dai privilegi e dalle stanze del potere”.

Tra gli elementi più convincenti di Fortapàsc c’è l’interpretazione di Libero De Rienzo. Nel progetto originale del film, cinque anni fa, doveva esserci Stefano Accorsi. “Ho scelto Libero per la sua partecipazione emotiva, per quel che mi ha detto dopo aver letto il copione. Per mettergli paura gli ho detto che ci sarebbe stata l’anteprima al San Carlo”, ride Risi.

Rispetto alla vicenda personale, fanno più da sfondo le gesta dei clan. Tra le scene più forti quella, parallela, tra una seduta accesa del Consiglio comunale e quella segreta tra i boss. “Un omaggio a Francesco Rosi e al suo Le mani sulla città – confessa il regista – ci sono politici che in passato hanno pensato che, per buona pace del Paese, con le mafie occorresse trattare. Ma hanno sbagliato, perché l’acqua che viene a contatto con il fango, diventa fango”. “La sensazione, oggi, è che Gomorra non sia solo Napoli, che siamo un po’ tutti sotto assedio, e che tutta l’Italia sia un po’ Fortapàsc